Asimmetrie – pieghe – torsioni
Cavenaghi Arte, Milano
A terra e a parete
“ Si può “occupare” intelligentemente un pavimento o, differentemente, una porzione di parete se la logica costruttiva dell’intervento risulta in qualche modo “a monte” della sua definitiva realizzazione, se cioè gli strumenti espressivi a disposizione possono agilmente passare dal tutto tondo della scultura all’aggetto del rilievo a muro: la riflessione d’esordio tende a leggere le opere in campo come fortemente legate alla loro destinazione ma, contemporaneamente, disciplinate da un modo originale con cui concepire l’opera plastica…
…Il fortunato rompere distinzioni e regole, classificazioni e categorie, che è eredità spesso dimenticata del nostro recente passato, permette l’attuale avventura intorno alla forma, intorno al volume, in una selezione di materiali espressivi, dal ferro al plexiglass, due presenze difformi per origine e per valore percettivo, che non seguono alcuna inclinazione al valore contraffattivo, rappresentativo dello strumento adottato; piuttosto, all’opposto, l’adozione del singolo materiale dipende dalla sua “qualità” tanto fisica quanto percettiva. Allora trasparente, opaco, levigato, usurato, specchiante sono i diversi segnali di scambio proposti: vi è comunque un ulteriore punto di contatto fra opera e osservatore, o meglio fra agire dell’autore e la nostra lettura: i bordi del metallo come del plexiglass sono variamente segnati da tacche, da tracce che alludono a una, sia pure approssimativa, unità di misura con cui determinare le coordinate elementari con cui interpretare la fisionomia dell’oggetto.
Valdi in altri termini mi sembra cerchi di coniugare una certa “idea” di ingombro di uno spazio – la collocazione a terra o a parete, le stesse dimensioni dell’intervento sono elementi determinanti perché capaci di coinvolgere l’ambiente come il nostro percepire l’opera – con una altrettanto determinante figura per così dire “ideale”, archetipica; infine, elemento già sottolineato ma da ricordare, con gli esiti percettivi diversi che i materiali impiegati determinano.
In gioco, costantemente, la definizione di un perimetro, i cui contorni possono a loro volta svolgere il ruolo di protagonisti, e un “avvenimento” – Carlo Nangeroni parlava in anni lontani di un “incidente” rispetto alla regola – realizzato spesso con materiale trasparente rispetto all’opacità della struttura portante, che sembra rimettere in discussione, pur nella sua ridotta dimensione, l’equilibrio dell’intera costruzione: la sua ampiezza può essere variabile come il modo con cui si relaziona con la figura perimetrale. Estraneo o partecipe del linguaggio, connesso o quasi giustapposto, a significare l’uscita dai confini, comunque la messa in discussione della loro impermeabilità. Ma, come si è detto, anche i “margini” soffrono di interrogativi altrettanto fondanti.
Il titolo stesso, scelto dall’artista per questa occasione espositiva che ho immediatamente accettato, Asimmetrie – pieghe – torsioni, parla di un agire su un prima – che sia idea, figura o materiale non importa – e un dopo, che vuol dire un agire sull’uno e l’altro ambito del discorso, modificando un dato di partenza di cui non si perde la memoria: l’aspetto intrigante del lavoro è proprio questa volontà di mantenere evidente il “luogo” origine della figura perché più evidente e comprensibile risulti l’agire e il cambiamento risultante.
Una parabola sul fare, anche alle soglie della metamorfosi, che non ha nulla di magico perché la trasformazione viene seguita passo dopo passo: lo stesso variare all’interno della singola opera di esiti diversi è segnale di questo processo che si vuole mettere in evidenza. Si tratta di un recupero di una trasparenza fra ideare e realizzare l’artefatto certamente in contrasto con una sensibilità attuale, più incline all’ineffabile, alla sorpresa o all’incognita: il lavoro di Valdi segue, diversamente, il percorso di un dialogo fra materiali scelti, la loro manipolazione e la nostra capacità di leggere l’uno e l’altro aspetto come osservatori “sullo stesso piano” di chi realizza l’oggetto.
Un interrogativo sul recinto, sulla sua fisionomia, sulla definizione di un’area capace di contenere vuoto e pieno nella lettura frontale come nel volume, ma anche sulla figura che viene inclusa in esso: gli interrogativi sono interessanti proprio perché emancipano dall’abitudine, dal consueto, non solo nel mondo delle arti figurative.
”
A.Veca
Lembo di cielo
Galleria Milly Pozzi Arte Contemporanea,Como
VALDI SPAGNULO. LA SIMULAZIONE DELLA MATERIA
Nell’irregolarità e nella precarietà delle strutture, le sculture di Valdi Spagnulo si costruiscono nello spazio dando corpo a un segno quasi pittorico. Come disegnate nello spazio, i tondini e le barre di ferro e acciaio piegate e saldate interagiscono con frammenti di plexiglas dalle forme irregolari creando strutture che sfidano la forza di gravità e la geometria euclidea. Tutto si gioca sull’inganno visivo che nasce dall’equilibrio tra i materiali, le forme e la collocazione nello spazio.
Il vuoto entra nell’opera come “materia” che attraversa le forme e definisce gli spazi. Tale aspetto è evidente nell’uso del plexiglas che con la sua trasparenza alleggerisce la scultura e allo stesso tempo si rende superficie sulla quale è ancora possibile incontrare il segno “pittorico”. Spagnulo infatti lavora con la fresa e la grafite la superficie segnandola e sottolineandola più opaca. La luce, penetrando attraverso il plexiglas trasparente, conferisce nell’irregolarità di tagli e scheggiature effetti particolari di luminosità. Anche le parti in metallo sono del resto spazi ricettivi di luce proprio attraverso la particolare lavorazione della superficie con la fresa alternando parti segnate o graffiate a parti estremamente lucide e riflettenti.
L’opera si rende così “campo” sul quale la luce agisce come forza espressiva e vibrante. La lavorazione dei materiali (piegatura, colore, fresatura) è il mezzo per giocare con l’inganno, visivo e mentale, dell’opera d’arte. Spagnulo mostra in tal senso di avere assimilato le ricerche minimaliste e più concettuali della scultura contemporanea. Senza lasciarsene coinvolgere, però, e inserendosi piuttosto nella direzione critico-ironica tracciata da Pascali.
La simulazione, che si manifesta nell’oscillazione visiva e interpretativa tra peso e leggerezza e allo stesso tempo tra forma astratta e narrazione, è infatti uno degli aspetti peculiari dell’opera di Spagnulo. E’ sempre possibile infatti cogliere nelle sue sculture il riferimento a un oggetto, un luogo, una situazione come ad esempio Un lembo di cielo composta di una duplice struttura “legata” da un ideale nodo formato da un tondino in ferro. Le opere più piccole, che Spagnulo chiama “Disegni” e “Progetti per scultura”, ma in realtà sono lavori spesso autonomi, inoltre, sono dei veri e propri giochi di dissimulazione dei materiali, a partire dal cartoncino che fa da supporto alla struttura, trattato con la grafite a simulare il metallo.
L’altro aspetto mentale, e molto attuale, che emerge nel suo lavoro sta nell’irregolarità della struttura formata da piegature e incastri che ne sottolineano la precarietà statica come in Architettura su di noi il cielo o in Portale. Questi disegni nell’aria che descrivono tracce aggettando a volte dalle pareti cui poggiano, altre dal pavimento nello spazio sono teoremi, risoluzioni di principi gravitazionali, che si propongono di manifestare i meccanismi di statica e di equilibrio architettonico, ma anche soglie sulla dimensione più nascosta e più vera dell’esistenza. Le strutture, rese precarie proprio dall’uso di materiali e forme imperfette, diventano infatti metafora della precarietà, ma allo stesso tempo dell’equilibrio dell’esistenza, dell’estrema delicatezza di ogni momento, di ogni azione, di ogni fragilità, come del respiro della natura e delle sue logiche. Per poter così godere, con l’aiuto dell’arte, della grandezza del cielo che sta “sopra” l’architettura e sopra di noi.
E. Di Raddo
Parvenze di precarietà
Galleria Arte + arte contemporanea,Varese
ARTICOLAZIONI SPAZIALI DI VALDI SPAGNULO
“…La piegatura a freddo, a sola forza di braccia e senza esitazioni né ritorni, delle fini cornici metalliche di ferro o d’acciaio, dimostra una sensibilità tattile per l’armonia dell’angolo e della curva che non sarebbe stato possibile delegare a nessuna tecnica di forgiatura più elaborata e a nessuno strumento meccanico. La partita della resistenza della barra, del peso e della trazione della leva si gioca tutto tra la stretta del palmo e quella di una semplice morsa da banco.
Sulla parete la loro linea spezzata circoscrive, senza racchiuderla in sé, un’area, proiettandosi con discrezione e leggerezza nell’ambiente e indicando così l’illusione di una soglia attraverso la quale la porzione di spazio, virtuale, interna all’opera e lo spazio, reale, in cui lo spettatore si muove possano coincidere e, contrapponendosi, identificarsi….. Da una parte possiamo individuare la linea d’una rinnovata scultura d’assemblaggio di matrice post-dadaista….. Sul versante opposto è altresì riconoscibile l’indirizzo d’un raffinato esercizio grafico d’impronta neo-concettuale….. questa duplice polarizzazione del lavoro di V.Spagnulo non costituisce per lui un limite né una dispersione di forze. Al contrario, gli permette di esercitare, spingendolo fino in fondo, un approfondimento analitico che è di per sé autonomo tanto dal materismo informale quanto dal concettualismo (o dal poverismo) rigorosamente intesi, poiché mantiene le proprie radici strettamente appigliate alla dimensione più immediata del fare e alla comprensione piena dei valori espressivi e formali della materia.
Non è un caso che in questa mostra le sculture metalliche lineari che hanno caratterizzato la produzione di Spagnulo negli ultimi anni tornino ad essere affiancate da una nuova esperienza bidimensionale….. quelli che lo scultore chiama disegni o progetti, ma che sono, assai più propriamente, da definirsi opere autonome, di piccole medie dimensioni, in cui la medesima tensione spaziale e ambientale delle sculture maggiori è declinata, quasi in riduzione scalare, nella facilità di impiego e di sperimentazione del cartone, delle colle, della grafite e dell’acrilico. Si tratta di un fare in senso proprio compendiario…”
G.Zanchetti
1° Premio di pittura
Accademia Nazionale di S.Luca, Roma
SIMMETRIE E ASIMMETRIE
…SPAZIO, TEMPO, LUCE gli elementi del mio operare.
Questa affermazione chiudeva un breve testo che delineava le tracce sostan-
ziali della ricerca intorno alla quale si muove il mio più recente lavoro.
Le opere quali Architetture, di originaria struttura simmetrica e rigida come
riferimento a ciò che è apparente storia urbana, si pongono rispetto al reale in
modo asimmetrico e sfasato.
Fuoriuscendo dalla parete, creano ritmi e spazi vuoti vissuti come valori strutturali dell’assenza.
Assenza di materia, forme e segni già ossessivi e reiterati ove presenti; ove
paritetici a sinòpie scandiscono misure e tracciano immagini liriche.
Concave-convesse, rette-piegate, integre-rotte, presenti-assenti queste Architetture asimmetriche si fanno portatrici di un tempo e di luoghi immaginari.
A volte “presenze” assolute ma, nel contempo, “anime” fragili e labili.
V.Spagnulo
Decantazione lirica
Spazio Cesare da Sesto, Sesto Calende (VA)
LA PRESENZA ATTIVA DELL’ASSENZA
“…V.Spagnulo ha affrontato il problema senza scavalcarlo, cercando di saggiare le possibilità di una “scultura” che ci sia contemporanea muovendo dalla frattura veramente epocale dell’informale. Ed è pertinentemente partito dal nodo da quella evidenziato – nella pittura, come, però quantitativamente in misura più ridotta, nella scultura – di una formatività che la materia, e il rapporto diretto con essa, non coarti.
Opportunamente F.Poli, cui si deve uno degli inerventi critici puntuali sul nostro artista, punta, per individuare dei precedenti attendibili, su Burri e Tapies, “che per alcuni versi possono essere stati utili per Spagnulo, non dal punto di vista stilistico, ma proprio per la loro concezione della materia e per la volontà di trovare la forma dentro quest’ultima,
senza imposizioni progettuali troppo forzate”….. Credo anch’io alla preminenza, in Spagnulo, di un registro mentale. Non sono invece certo dell’importanza, in siffatta direzione, dell’esempio concettuale, che di fatto conduceva a tutt’altre direzioni, come del resto l’arte povera e il minimalismo, con i quali penso che Valdi non abbia nulla a che spartire. Vedo piuttosto il lavoro dominato, rigoroso, decantato del primo Spagnulo entro coordinate pre-concettuali, verso la verifica, innevata di razionalità, dei valori denotativi e connotativi della scultura e della pittura. Puntando sulla superficie, per saggiare analogie e differenze, l’artista giunge in tal modo presto a individuare il significato e le qualità dell’interruzione della continuità del piano, del quadro proprio, nel realizzare un rapporto meno illusionistico, meno rappresentativo con lo spazio ambientale, riconosciuto invece come fattore fondamentale della scultura. Che gradual-mente diviene il suo vero punto di riferimento, il suo vero oggetto…”
L.Caramel
SEGNI E OMBRE NELLO SPAZIO LABILE
“…Nei nuovi lavori di V.Spagnulo la relazione con lo spazio che sta “dentro” la scultura si gioca quasi esclusivamente tra forma positiva e forma negativa. Già nella serie precedente dei dittici si avvertiva la tensione, sentita come necessità, di far coesistere l’immagine e il suo doppio. E già si avvertiva la spinta dei materiali in rilievo dalla superficie verso l’esterno – allora erano piombo, rame, carta, carta vetrata, cera legno feltro, fili e lastre di ferro manipolati e trasformati – coi quali Valdi procedeva alla sperimentazione dello spazio reale per andare oltre e superarlo….. Gli stessi materiali
- in prevalenza plexiglas, carta, ferro e piombo – concorrono nel processo di creazione di un’immagine eterea, dove la luminosità e la chiarezza, rispetto al passato, colpiscono tanto quanto il vuoto che vive tra l’opera e la parete sulla quale è collocata….. V.Spagnulo ha soppesato questa ricerca, a dispetto della totale mancanza di progettualità, come vedremo, con pause più o meno desiderate o cercate, dovute piuttosto alla quotidianità, ai problemi che essa riserva e alla capacità di ognuno di noi di cogliervi arricchimento e forza interiore. Attese rispetto a un lavoro che cerca e che trova in tempi propri una via autonoma d’espressione, una musicalità, un ritmo, in cui lo spazio, i pesi, le misure e la luce vengono scanditi in un’interazione doppia e tripla dell’immagine. A ben vedere è un procedimento di lettura che sfiora la fenomenologia dello sguardo e della forma nel suo farsi, senza, però, gli schemi rigorosi a cui tale disciplina rimanda (si vedano “L’elefante” e il dittico dove i segni sembrano aver creato due “pipe”)….. Entra in gioco un processo di decantazione, necessario per liberare il lavoro da ogni tipo di rapporto dialettico o contraddittorio, per arrivare all’armonia, basata sulla diversità molecolare dei materiali trattati. E’ un relazionarsi al reale in modo asimmetrico e sfasato…”
R.Ferrario
La presenza attiva dell’assenza
Galleria Spaziotemporaneo, Milano
Galleria Ellequadro Documenti Arte
Contemporanea, Genova
Palazzo dei Priori – ex Pinacoteca, Volterra (PI)
Galerie Art 7, Nice (F)
LA PRESENZA ATTIVA DELL’ASSENZA
“…Attuata quella prima, e certo fondamentale, violazione dell’essere nello spazio della statua, e adottata la limitazione della superficie (del quadro, sì, ma anche tradizional-mente del bassorilievo e dell’altorilievo, quindi non estraneo alle tezcniche della scultura), Spagnulo saggia le possibilità del vuoto (oltre, certo, il piano chiuso del bassorilievo e dell’altorilievo, non però, per restare nei modelli canonici, quello aperto della transenna). Vuoto non concepito come privazione.Piuttosto in termini significanti, anche in senso strutturale, tali da riproporre il valore della materia nella sua stessa funzionalità, quando venga lavorata, per organizzare, articolatamente, l’immagine. Può apparire, così come ho cercato di ricostruirla, un’operazione “vecchia”. Quale invece non è, se si tiene conto di quell’ipotesi di base di cui s’è detto, in relazione ad un riesame critico della frequentabilità della plastica non preconcetto, e condotto direttamente nella materia e nello spazio ad essa relazionato, o da essa determinato, o modificato. Quanto alla componente mentale (non, ripeto, concettuale), essa si poneva come antitodo nei confronti della ricaduta nel materismo e, per la sua temperatura razionale, consentiva esiti non solo sperimentali. Cui Spagnulo approda subito, in opere singole o articolate in due analoghe, ma completamente diverse parti, come in veri e propri dittici. Nei quali (si vedano in questa mostra e in questo catalogo: Luogo sottratto, Segno evolvente, Fuori luogo/spazio e Segno vagante) dapprima confronta, e fa dialogare, immagini differenziate dalla presenza o assenza, per via di levare, di alcune parti. Dove, peraltro, quanto è sottratto materialmente viene sostituito da un’altra, e altrtetanto attiva presenza, quella dello spazio esterno, non più occluso, nascosto dall’opera, ma in essa intimamente integrato…”
L.Caramel
Valdi Spagnulo, la forma nella materia
Comune di Siena
Galleria Palazzo Patrizi, Siena 1996
Galeria Lourdes Jàuregui, Zaragoza (E) 1997
“…V.Spagnulo aveva dichiarato che per lui era difficile “distinguere nella materia il poetico dall’impoetico”. Mi pare che una confessione di tal genere sia di singolare interesse, perché va al di là di una semplice valutazione delle eventuali difficoltà che ogni artista si trova davanti nell’elaborazione del suo lavoro. In un certo senso, si può dire che è di per sé una dichiarazione di poetica, sia pure in modo implicito e problematico. L’artista, in questo caso, all’apparenza sembra accettare i presupposti dell’estetica crociana di divisione fra poesia e non poesia, ma in realtà vi si oppone radicalmente, dato che per lui la questione si propone su un piano diverso: quello della fisicità e dell’energia espressiva intrinseca alla materia (e cioè ai materiali costruttivi dell’opera), senza ansie idealizzanti di superamento e sublimazione dei limiti costruttivi che ne definiscono le condizioni specifiche d’esistenza. In altri termini per Spagnulo, non si tratta di dar vita alla forma (poetica) dell’opera in contrapposizione alla sua realtà concreta, ma al contrario, la linea di ricerca è quella diretta di incontro-scontro con la dura, pesante, opaca, densa, pulsante esistenza delle strutture materiali. Una ricerca che prende forma e senso proprio da una ostinata, e a volte ossessiva, interrogazione della materia, per trasformare la sua anima oggettuale indeterminata, le sue potenzialità cupe e amorfe in qualcosa che viva nella enigmatica e sospesa dimensione dell’incanto estetico, e cioè di quella condizione al di fuori delle normali coordinate dello spazio e del tempo che caratterizzano l’esistenza quotidiana delle cose di questo mondo. La forza dell’opera, dunque, nasce dalla sua identità costruita proprio all’interno della dialettica fra realtà e rappresentazione, fra ordine e disordine, fra distinto e indistinto. Il che vuol dire, anche fra poetico e impoetico, dove è essenziale sottolineare l’importanza del “fra”, vale a dire lo spazio che divide e collega il “poetico” all’”impoetico”…..”
F.Poli
Duel Art
stand personale galleria Spaziotemporaneo
Villa Borromeo, Cassano d’Adda (MI)
“…Per V.Spagnulo l’apporto coloristico è quanto mai contenuto: neri, bianchi, varie tonalità di grigio e poi materiali tra i quali prevale, come colore, soprattutto il rame. Una tavolozza sobria che non si adatta alla lettura, unitaria e duplice nello stesso tempo, che le sue opere consentono. In compenso la tecnica utilizzata è composta: legni incisi e levigati col fuoco si compongono con ferri, rami e piombi piegati o sagomati, carte e altro ancora. Il tutto in una logica che appare quanto mai stimolante. Ogni opera è infatti giocata su un dittico in cui si accostano due lavori che sono l’uno il negativo dell’altro, un negativo singolare però che non si affida solo alla complementarietà di bianco e nero, ma svolge un interessante interscambio tra pieni e vuoti, tra la palpabilità della materia e l’impalpabilità del nulla. Negativo e positivo, comunque, non come contrappo-
sizione, quanto come rilettura, come una nuova interpretazione (che alla fine risulta essere la stessa) di un avvenimento, di una azione, di un movimento. Il tracciato descritto dal filo e dalla lamina di ferro o di rame, trova una sorta di prima eco dentro il pezzo singolo e poi si dilata dentro il secondo quadro e reciprocamente i due si rilanciano il messaggio…”
L.Cavadini
Dialogo: D.Nenciulascu, V.Spagnulo
Galleria Spaziotemporaneo, Milano
“…Pur muovendo da un supporto rettangolare, la composizione ne oltrepassa quasi sempre i limiti non tanto per il rifiuto di costrizioni esteriori, quanto per l’urgenza di espansione implicita nei “temi” delle varie composizioni. Temi non riconducibili a nar-razioni esplicite, quanto piuttosto a ipotesi mentali in cui risulta inarrestabile quel bisogno di movimento che è ben “mimato” dalle evoluzioni di forme curve che possono rimandare all’ellisse piuttosto che al cerchio. In esse la continuità del percorso no è ne-
cessariamente assicurata da elementi tangibili, ma risponde spesso a pure suggestioni o desideri che non hanno bisogno di materializzazione. L’azione che avviene (o è ipotizzata) nello spazio si avvale così di un’altra dimensione che supera e completa <br>quelle tipiche dell’intervento plastico. Il tempo. Ed è proprio questa incognita che attri-
buisce ad ogni proposta una valenza che oltrepassa il contingente e contribuisce ad estenderne il contenuto e il significato. La risonanza che si genera all’interno di ciascuno e poi tra i due elementi di ogni opera, porta ad una diffusione spaziale che si potenzia nel tempo e contemporaneamente suggerisce un ricerca delle origini e delle cause di questa azione infinita ed illimitata. Una “origine dirompente” come recita il titolo di una delle opere più recenti? Forse. Certamente, nel loro equilibrio, queste opere richiamano l’attenzione sull’opportunità di letture plurime degli eventi, dalle azioni, ma anche delle parole, per non rischiare l’appiattimento di interpretazioni univoche di una realtà dalle molte facce e dalle molteplici possibilità di sviluppo…”
L.Cavadini
Per contro: G.Benedini, V.Spagnulo
Castello Visconteo, Trezzo sull’Adda (MI)
SOLITUDINE, DOLCE COMPAGNA
“…V.Spagnulo costruisce i suoi lavori con materiali primari (ferro,piombo,rame,carta, grafite mescolata a briciole di ferro,carta vetrata,cera,legno,feltro) su cui interviene, con scavi, rotture, bruciature,slabbrature, sovrapposizioni che sembrano volere catturare, di quei materiali, la fibra, l’intima natura, l’anima. Anche per effetto di questi interventi la superficie dell’opera acquista una profondità insondabile; l’artista fonde materiali, segno e pittura in gorghi e vele d’ombra, veleni di piombo, liriche testimonianze di una bellezza misteriosa, indicibile e perduta. C’è poi, in Spagnulo un senso geometrico assoluto, una tensione alla costruzione di forme scandite da confini precisi: ogni superficie è ripartita in spazi, individuati dai materiali, mossi al loro interno da bave di linee, da forme raccolte….. Del resto, se si vuole restare fedeli alla sensazione e al sentimento, è impossibile racchiuderli in una realtà definita. Le superfici sono solcate da fremiti, brividi di forme, come ghiaccio che si coaguli da una liscia distesa d’acqua; appaiono ombre, cuniculi, nicchie, porte che danno sul buio, barriere che attraggono ma che forse non si possono varcare, come se in quelle apparizioni spettrali si celassero insieme verità e angoscia mortale. Le forme create da Spagnulo alludono talvolta a meridiane, a cles-sidre, ad un perenne moto circolare che ha in sé l’idea del tempo che scorre e che sempre ritorna….. Non è casuale, credo, che Spagnulo realizzi spesso due versioni dello stesso soggetto: una in bianco, solcata da brezze di madreperla, ed una in nero, dove spira l’aria fosca dell’abisso. Le stesse forme, con le loro ombre riflesse come in uno stagno, in una palude, diventano allora immagini completamente diverse, come se la luce fosse il luogo della metamorfosi…”
S.Parmiggiani