Ritmi Visibili. Enrico Della Torre / Valdi Spagnulo
Studio Masiero, Milano
I ritmi visibili di Enrico Della Torre e Valdi Spagnulo
Kevin McManus
Come spiegare l’accostamento tra due artisti di due generazioni diverse, dedicatisi perlopiù a due medium diversi, e mai affiancati finora una mostra? Verrebbe da usare un’espressione trita e, forse, un po’ furba: il “colpo d’occhio”. Un fenomeno dato, in primis, proprio dal contrasto tra i lavori di un artista e quelli dell’altro: le superfici di Enrico Della Torre, espanse e al tempo stesso disciplinate da un colore che le trasforma in presenze attive, in soggetti agenti; e le forme tridimensionali di Valdi Spagnulo, che articolano lo spazio disegnandolo, nella loro poetica austerità. Basta un istante, tuttavia, e l’occhio si accorge di come questo contrasto riveli, nella diversità degli strumenti utilizzati, la messa a tema di un comune desiderio: quello di mostrare lo spazio e il tempo, di renderli visibili affrancandoli dalla loro condizione di concetti-limite, di pure misure di grandezza. Ecco allora che i due medium artistici più tradizionali, coinvolti in un confronto secolare basato sulle opposizioni, diventano due lingue diverse per dialogare su un tema comune. Da sempre la pittura lavora sullo spazio isolandone un campione bidimensionale, mentre la scultura lo abita nella sua presenza letterale; entro questa dinamica, i nostri due artisti si sono distinti, in momenti diversi, come esploratori dei confini dei rispettivi mezzi, non con l’intento di infrangerli, bensì con quello di capirne a fondo il funzionamento. E qui si manifesta il secondo punto di contatto: in entrambe le ricerche vediamo lo spazio apparire, come espressione di una natura naturans squisitamente artistica: in Della Torre, attraverso un colore che non agisce solo per opposizione, ma che acquisisce una propria presenza spaziale, un’aura che affranca la forma dalla superficie; in Spagnulo attraverso una forma scultorea che sembra registrare la traccia del suo processo realizzativo, mostrandosi non come configurazione chiusa, ma come “momento” di un farsi che potrebbe continuare, ma che viene catturato in un attimo di estrema fotogenia. Per Della Torre questo spazio che appare non lo fa mai come articolazione figura/sfondo (il che sarebbe peraltro reso impossibile dall’intensità dei suoi neri), ma piuttosto come un’animazione musicale della superficie, un ritmo interno alla forma che suscita nello sguardo un’intuizione temporale. Proprio il ritmo – parola chiave nel titolo della mostra – costituisce il terzo, decisivo punto di contatto: anche Spagnulo infatti, nei suoi disegni nello spazio, suggerisce una successione di battere e levare, forse nella convinzione che spazio e tempo, seppur distinti nella teoria, si mostrano sempre, nella carne dell’opera, come due facce della stessa medaglia. Non è un caso, certamente, che queste affinità poetiche trovino espressione in un linguaggio misurato e concentrato, atto a dire tanto con il poco. È proprio nel silenzio, nella pausa, nell’intervallo che il ritmo dello spazio può rendersi manifesto.
Abita L’uomo. Patrizia Bonardi Valdi Spagnulo
BACS – Leffe (BG)
Poeticamente, e su questa terra
Kevin McManus
«Pieno di merito, ma poeticamente, abita
l’uomo su questa terra».
Questi versi attribuiti al poeta romantico Hölderlin sono alla base di un saggio assai noto (1951) di Martin Heidegger, uno dei filosofi più impegnati sulla questione dell’abitare. Questo termine, tornato in auge in ambito filosofico e sociologico negli ultimi decenni, designa per Heidegger la modalità di esistenza più tipica, specifica dell’uomo in rapporto al mondo e alle altre creature. L’«esserci» dell’uomo, insomma, avviene sotto la forma e secondo le categorie dell’abitare. L’uomo non si limita a stare nel mondo, ma lo riempie di sé, con una scala di interventi che vanno dalla pura speculazione filosofica fino alla modificazione (talvolta, come è noto, anche distruttiva/peggiorativa) del mondo stesso, inteso sia dal punto di vista fisico, come ambiente, etc., sia come insieme complessivo di tutte le interazioni possibili, tra umano e umano, tra umano e altri esseri viventi, tra uomo e cose.
Aggiunge il filosofo, sulla scorta del testo di Hölderlin, che questo abitare non può caratterizzarsi se non per la sua «poeticità». L’abitare è poetico, dunque; per la precisione, il termine tedesco usato dall’autore è «dichterisch», più specifico («proprio del poeta») rispetto al generico «poetisch». L’esserci dell’uomo nel mondo non è concepibile se non nei termini del poetico. È proprio l’avverbio «poeticamente» a fare da collante tra l’uomo, il suo spazio, e l’abitare che regola il rapporto tra i due. Non solo, ma Heidegger tiene notoriamente a precisare come sia appunto questo «dichterisch» a far sì che questo spazio, la sede materiale dell’abitare dell’uomo, non sia in un mondo di fantasia o di puro intelletto – come un’accezione più ingenua di “poesia” potrebbe far pensare – ma «su questa terra». Esistenzialista ante-litteram, Hölderlin parte dal radicamento dell’uomo sul pianeta, rispetto al quale la poesia non è una fuga, ma al contrario una garanzia. In un passo celebre, Heidegger individua l’essenza di questo «poeticamente» nella facoltà umana, e solo umana, di «misurare»; una misura che non è banalmente quella degli spazi fisici della Terra, né quella fantasiosa dei cieli e degli spazi della divinità, bensì quella della distanza tra le due dimensioni, del «frammezzo» tra cielo e terra. L’uomo insomma è l’essere – l’unico ente – capace di concepire il proprio rapporto con l’infinito, e quindi a prendere coscienza della propria finitezza, della propria collocazione nel mondo. L’uomo-abitante-poeta si distingue quindi dalle altre creature per la sua capacità di riempire di senso gli spazi del suo esistere, di abitarli anziché occuparli, insomma di trasformare delle semplici porzioni di spazio fisico in luoghi. È il senso a caratterizzare, in ultima analisi, il rapporto dell’uomo con lo spazio che abita.
Mi sono dilungato più del solito in questa premessa teorica; non solo perché è scelta forte e orgogliosa, da parte del BACS, quella di far dialogare le opere d’arte con testi fondamentali di varie discipline (tra cui la filosofia) collegate alla sociologia e ai suoi temi. Ma anche perché questa dimensione dell’abitare (e dell’abitare poeticamente) è a mio avviso un evidente punto di contatto tra due modi operandi come quelli di Patrizia Bonardi e di Valdi Spagnulo, di per sé assai distanti per materiali, linguaggio e strategie di presenza visiva. L’opera d’arte, se è tale, è sempre una modalità poetica di attivazione di un spazio, che si tratti della superficie di una tela, dell’area tridimensionale circoscritta e chiusa di una scultura tradizionale, dell’ambiente di un’installazione o addirittura della piazza, del territorio, dell’intero edificio interessato da un intervento di arte pubblica. Tutte le forme d’arte lavorano sul senso, vanno a costituire un luogo, e pertanto rendono giustizia alla prerogativa umana dell’abitare. E tuttavia, proprio i versi di Hölderlin e le parole di Heidegger hanno cementato nella mia mente l’idea di un possibile dialogo tra i lavori di questi due artisti. Parlo specificamente di “dialogo”, perché i presupposti me lo suggeriscono: il dialogo avviene tra diversi (anche solo per la prospettiva occupata nel momento dell’interazione) che si interessano a un argomento comune. Il dialogo è lo sforzo fatto da due interlocutori affinché entrambi siano modificati dal pensiero dell’altro su un tema specifico. E il tema, qui, è proprio quello dell’abitare. Per dirla in termini netti, se tutta l’arte implica il discorso sull’abitare, quella di Patrizia Bonardi e Valdi Spagnulo lo rende esplicito, lo mette a tema con una sinteticità e un’apertura di senso tali da garantire, appunto, la dimensione del dialogo nello spazio comune di una mostra. Se Hölderlin era per Heidegger il «poeta del poeta» (ossia il poeta che illuminava l’atto stesso del poetare), possiamo dire che Bonardi e Spagnulo siano due «artisti dell’artista».
La differenza, sostanziale ma fertile, tra i due approcci sta nel punto specifico su cui rispettivamente insistono nel rendere esplicito l’elemento dell’abitare. Potremmo dire, con un’utile approssimazione, che cambia la quantità di elaborazione simbolica, o addirittura che cambia la figura retorica prediletta da ciascun artista: la metafora per Patrizia Bonardi, la sineddoche per Valdi Spagnulo. L’una significa l’abitare attraverso una rappresentazione simbolica di temi connessi esplicitamente all’abitare contemporaneo; l’altro lo significa proponendo esempi reali, praticabili, effettivamente (e poeticamente) abitabili di spazio. E seguendo la linea di sviluppo delle figure retoriche (scelta fuori moda, forse, ma a mio avviso efficace), la metafora comporta che l’apertura di senso, la polisemia dell’opera avvenga per associazione, per contrasto, per aggiunte successive, mentre la sineddoche è aperta per la sua pura potenzialità, per la sua dimensione al tempo stesso astratta ed estremamente concreta.
Prendiamo due opere che nell’allestimento della mostra occupano uno spazio di dialogo privilegiato: Abnormal Waves (2019) di Patrizia Bonardi e La Domus di Persefone (2015) di Valdi Spagnulo. La prima, pensata appositamente per la mostra, affronta la questione dell’abitare dal punto di vista specifico dell’habitat, delle conseguenze ambientali e sociali dell’antropizzazione del pianeta. Le onde sono «anomale» per la loro matericità disturbante, per l’ostacolo cromatico che impedisce loro di corrispondere tanto all’iconografia consolatoria della “marina” quanto a quella romantica, sublime, del mare in tempesta. Effetto, quest’ultimo, creato anche dalla suddivisione in pannelli di lunghezza e larghezza regolari, disposti quasi a mo’ di griglia astratta: è proprio questa scelta, questo distacco critico creato a dispetto di superfici che, di per sé, sarebbero “immersive”, chiamerebbero al tatto e al coinvolgimento totale dello sguardo, a garantire all’opera quell’apertura di senso che le permette di entrare in dialogo sul tema dell’abitare, di tornare insomma alla sua accezione complessiva. Rispetto alla possibilità della chiusura simbolica data dalla metafora “risolta”, l’allestimento crea un’apertura entro la quale il discorso ecologico-ambientale diventa uno dei possibili stimoli sulla questione dell’abitare umano. La Domus di Persefone, viceversa, analogamente ma in modo più serrato rispetto all’Angolo bianco (2014), parte da un’accezione più letterale di “spazio” e di “abitare”, fornendo un archetipo di spazio abitativo, un esempio, una sineddoche appunto. L’opera è percorribile, abitabile, si offre alla presenza del corpo dell’osservatore, oltre che al suo sguardo. Anziché rappresentare l’abitare, ce lo presenta, in una modalità che è al tempo stesso specifica, locale, caratterizzata, ma anche aperta, eternamente potenziale. È un abitare che nella sua incompletezza finisce per significare tutti gli abitare possibili. I versi di Hölderlin echeggiano parimenti in entrambe le opere, ma mentre Bonardi sembra porre l’accento sul «su questa terra», Spagnulo si concentra in maniera specifica sul «poeticamente»: il suo spazio è uno spazio circoscritto, misurabile, e al contempo illimitato, possibile; è un qui e un altrove insieme. La stessa collocazione dell’opera, che parte dalla parete e si diffonde, quasi come se compisse un movimento continuo, sul pavimento, corrobora questa dimensione poetica: una poesia che – proprio come la poesia scritta dal poeta – si caratterizza in quanto tale per il suo essere progetto (il “disegno” a parete) e spazio reale (la dimensione orizzontale) al tempo stesso.
Chiudo con un ulteriore elemento di confronto tra i due artisti, a mio parere profondamente connaturato al primo. Il poetico, nella sua etimologia greca, è connesso all’idea del fare. È poetico ciò che è fatto, prodotto, costruito in modo tale da comportare una riflessione sull’atto stesso del fare, produrre e costruire, sulla sua posizione nella mappa delle cose umane. Ecco, tanto Patrizia Bonardi quanto Valdi Spagnulo amano mostrare il fare nei loro lavori: le forme leggere, inizi di linee possibili, di Valdi rivelano in realtà la potenza di un gesto scultoreo che è fatica, tempo, volontà di informare (abitare) la materia. Le superfici di Patrizia, dal canto loro, recano le tracce della loro fattura, talvolta in senso quasi rituale (si pensi alla tecnica, assai usata dall’artista, dell’avvolgimento in bende), talvolta nel senso di un’impronta che si fa indice della presenza umana (dell’abitare) nell’opera, come nei Fiery Trees (2019) con i loro “occhi” tagliati nella superficie. Segni diversi, che si ritrovano nella ricerca sul senso, sull’esserci, sul privilegio di esserci poeticamente (artisticamente).
ENRICO DELLA TORRE – VALDI SPAGNULO
Ritmi visibili
a cura di Kevin Mc Manus
inaugurazione 11/12/13 novembre 2021 dalle ore 17.30 alle 21.00
11 novembre 2021 – 14 gennaio 2022
Studio Masiero, Milano
La galleria Studio Masiero è lieta di presentare Ritmi visibili la prima doppia personale di Enrico Della Torre e Valdi Spagnulo. I due artisti, appartenenti a due generazioni diverse e operanti con due media distinti e complementari, la pittura e la scultura rispettivamente.
Della Torre (Pizzighettone, 1931) è una delle voci più personali e intense della pittura del secondo novecento. Esploratore di diverse tecniche tra due e tre dimensioni (dall’incisione al collage), porta avanti da decenni una ricerca rigorosa ma capace di svolte e sperimentazioni, profondamente legata al tema del ritmo, della scansione poetica dello spazio e della temporalità della visione.
Spagnulo (Ceglie Messapica, 1961), proveniente da esordi in ambito pittorico, si è affermato negli anni come scultore, in lavori che mettono in gioco l’elemento gestuale nella lavorazione dei materiali e, al tempo stesso, l’attenzione per il vuoto, per la linea, per i valori grafici e spaziali della produzione plastica.
Un punto di incontro tra i due artisti appare dunque già chiaro, nel loro affacciarsi sui rispettivi ambiti pur restando ben radicati ciascuno nel proprio. In questo spazio, dove la distinzione netta tra le discipline lascia il posto al gusto per i valori ritmici della forma e del colore, dello spazio inteso come dimensione d’esistenza dell’opera d’arte, si instaura un dialogo tra due poetiche capaci di parlarsi.
La mostra, aperta fino al 14 gennaio, sarà visitabile oltre agli orari di galleria, anche nel fine settimana, previo appuntamento.
Enrico Della Torre nasce a Pizzighettone (Cremona) il 26 giugno 1931. Si diploma nel 1955 all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, città dove si è poi stabilito e dove vince nello stesso anno una borsa di studio del Comune di Milano. In seguito nel 1957 vince il secondo premio per la litografia alla Biennale dell’Incisione Contemporanea di Venezia e nel 1960 il primo Premio S. Fedele di pittura. Le sue prime mostre personali risalgono al 1956 alla Galleria dell’Ariete di Milano, presentato in catalogo da Guido Ballo, e alla Galleria del Teatro di Parma, presentato da Roberto Tassi. Da questo momento le mostre, in musei e gallerie private in Italia e all’estero, si susseguiranno con continuità. Dal 1963 incomincia ad esporre alla Galleria del Milione di Milano. Nel 1972 espone alla Wiener Sezession di Vienna, con un testo in catalogo di Franco Russoli e alla X Quadriennale Nazionale di Roma. Nel ’73 apre un suo secondo atelier a Teglio, in Valtellina, ove soggiorna d’estate. Nel 1974 dona cinquanta lastre incise alla Calcografia Nazionale di Roma. Per l’occasione viene pubblicato il catalogo delle incisioni dal 1953 al 1973 curato da Gianfranco Bruno. Vanni Scheiwiller nel 1980 gli dedica un volume nella collana “Arte Moderna Italiana”. Nel 1987 la Neue Pinakothek di Monaco di Baviera promuove un’ampia retrospettiva, con lavori dal 1958 al 1986, curata da Erich Steingräber, una mostra itinerante che toccherà altre città tedesche. Arturo Carlo Quintavalle nel 1989 crea un fondo a lui dedicato con 36 opere presso il CSAC dell’Università di Parma. Gli viene conferito il Premio della Triennale dell’Incisione al Museo della Permanente di Milano nel 1994. Campanotto Editore pubblica i Taccuini 1956-1996. A seguito di una mostra e della donazione di 11O opere, nel 2001 viene costituito al Museo Villa dei Cedri di Bellinzona il “Fondo Enrico Della Torre”. Un altro Fondo viene inaugurato, nel 2008, presso la Biblioteca Statale di Cremona. Nel 1999 è nominato Accademico Nazionale dell’Accademia di San Luca a Roma. Lo stesso anno inaugura un’importante antologica a Palazzo Magnani di Reggio Emilia con dipinti e incisioni dal 1953 al 1999. Il Museo Villa dei Cedri di Bellinzona nel 2010 gli dedica una sala personale, nella mostra “Collage – una poetica del frammento” curata da Matteo Bianchi. Viene invitato nel 2011 alla 54a Esposizione d’arte della Biennale di Venezia, Padiglione Italia. Nel 2012 viene pubblicato Enrico Della Torre. Catalogo Generale dell’opera grafica, Skira Editore, a cura di Sandro Parmiggiani. Tra le sue recenti personali di grafica ricordiamo Enrico Della Torre, segni della poesia, tenutasi a Cremona presso il Museo Civico Ala Panzone nel marzo-aprile 2019. Recentemente nel 2020 ha esposto in personali: al MIG Museo Internazionale della Grafica di Castronuovo Sant’Andrea (Pz) a cura di Giuseppe Appella; allo Spazio Officina del M.A.X. Museo di Chiasso e alla Galleria Schumm-Braunstein di Parigi.
Valdi Spagnulo nasce a Ceglie Messapica (Brindisi) nel 1961, trascorre la sua infanzia in Puglia a Grottaglie (TA), località nota per la produzione della ceramica artigianale e artistica, frequentando l’ambiente creativo ed intellettuale dell’area pugliese e non solo sin da giovanissimo, grazie a suo padre, Osvaldo. Nel 1973 si trasferisce a Milano, aprendosi all’ambito europeo con viaggi in Francia, Germania, Svizzera, e iniziando studi artistici dapprima al Liceo di Brera, poi alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dove si laurea nel 1984. Parallelamente, l’inizio degli anni Ottanta segna il suo esordio come pittore e l’avvio di una fitta attività espositiva, fra cui si segnala la collaborazione con la Galleria delle Ore di Giovanni Fumagalli, poi negli anni Novanta opere tridimensionali saranno esposte a parete nella galleria Spaziotemporaneo di Patrizia Serra, ove si assiste all’approfondimento delle tematiche plastiche indagate sino agli esiti della sua più recente produzione. Nel 2001 riceve il primo Premio per la Pittura dell’Accademia di San Luca a Roma. La bibliografia delle mostre personali annovera curatele e testi critici di: R.Bossaglia, L.Caramel, C.Casero L.Cavadini, C.Cerritelli, M.DeStasio, E.DiRaddo, R.Ferrario, L.Fiorucci, S.Fontana, M.Galbiati, K.McManus, L.P.Nicoletti, S.Parmiggiani, F.Poli, E.Pontiggia, F.Solmi, F.Tedeschi, A.Trabucco, M.N.Varga, A.Veca e G.Zanchetti. Sue opere figurano in collezioni pubbliche fra cui: Camera del Lavoro (Reggio Emilia); MACAM (Maglione C.se); Accademia Nazionale di San Luca (Roma); Museo della Biennale di Gubbio (Gubbio); Museo Fondazione Michetti (Francavilla a Mare); Museo della Permanente (Milano); Museo del Premio Suzzara (Suzzara); collezione Intesa Sanpaolo (Milano); Casa Museo Boschi Di Stefano (Milano). Svolge l’attività di docente presso le Accademie di Belle Arti di Milano e Firenze. Vive e lavora principalmente a Milano
ENRICO DELLA TORRE – VALDI SPAGNULO
Ritmi visibili
a cura di Kevin Mc Manus
inaugurazione 11 novembre 2021 dalle ore 17.30 alle 21.00
11 novembre 2021 – 14 gennaio 2022
Studio Masiero, Milano
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metropolitana linea 2, verde – fermata ROMOLO
autobus 74 direzione Famagosta – fermata Carlo Torre/Villoresi